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Corea del Sud; Hee-Jin č una bella ragazza, taciturna (o forse
muta), che gestisce uno stagno dove si trovano alcune casupole
galleggianti, frequentate da gente in ferie che si dedica alla
pesca, ma anche da ricercati, mariti in fuga con le amanti,
prostitute che si offrono ai pescatori, gente in cerca di
solitudine. Lei, senza dire una parola, con la sua vecchia barca
a motore, trasporta le persone, porta loro cibo, ami per la
pesca, puttane, si prostituisce lei stessa.
Hyun-Shik č un cliente in cerca di se stesso e di pace della
mente, ex poliziotto che ha ucciso la moglie colta in flagrante
tradimento. Nasce un amore dalla violenza e dalla potenza
incontrollabile, soprattutto da parte di lei, e si fa strada in
maniera che definire inusuale č poco. Doppio finale, che lascia
spazio a miriadi di interpretazioni.
Paragonabile al “Dolls” di Kitano (e non solo), in Kim Ki-Duk
convivono la violenza e la tenerezza, il sadomasochismo e
l’amore senza confini.
Folle e irriverente, simbolico e devastante, disturbante e di
poche, pochissime parole, parto, senza dubbio, un cineasta
estremo.
di:
Ale
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