Live |
Arriva in Italia la famiglia
Followill, dopo il clamore creatogli attorno dalla stampa specializzata di
tutto il mondo. Certo, ultimamente la cosa (visto che accade regolarmente
diverse volte ogni anno, con band nuovissime) comincia a puzzare.
Cerco comunque di essere imparziale, anche perchè "Youth and young
manhood" mi piace proprio un bel po'.
Il Rainbow è un buco; Regina
Spektor, la tipa che si esibisce prima dei ragazzi del
Tennessee, non è malaccio, ha una bella voce, ricorda un po' Ani Di
Franco (ma suona una tastiera) e un po' Fiona Apple (ma non ha la stessa
carica perversa), ma l'esibizione appare proprio come un'improvvisata.
Qualcuno applaude, qualcuno urla sguaiatamente e lei lo manda allegramente
affanculo.
L'esibizione si prolunga anche troppo però. Cambio palco (eufemismo), e
io continuo a vedere un tecnico di palco che sembra proprio Caleb, il
cantante/chitarrista. Mah.
Verso le 22.20 entrano sul palco, eccitazione alle stelle.
Il cugino Matthew, chitarrista solista, è dimagrito almeno 10 chili dalle
foto del disco; per tutto il concerto sarà troppo concentrato su quello
che deve suonare, come se avesse una paura fottuta di sbagliare.
Caleb è irriconoscibile (ecco perchè!! Si è tagliato i capelli.....ma
chi è il suo parrucchiere?!?!?!), e pare si sia vestito al buio.
Per tutto il concerto continuerà a sistemarsi la frangetta, i capelli, e
la giacca arancione (?!) due taglie più stretta come se avesse freddo
(invece suda come in sauna). Jared, il bassista, pare in preda a un
qualcosa di inspiegabile, e la faccia gli si deforma continuamente. Nathan,
il batterista, che in più supporta Caleb con diversi cori, ha una barba
alla John Lennon periodo Yoko Ono. Partono, e l'impressione è che siano
veramente poco padroni degli strumenti.
Le canzoni sono leggermente più lente delle originali, e tutti, meno
Jared, sono maledettamente legnosi, poco sciolti.
Le loro canzoni hanno un gran fascino, nu-rock'n'roll, southern bues e
boogie mixati, ma le versioni che ci regalano sembrano troppo
"tese".
Sarà l'età, sarà la poca esperienza....ma mi passa improvvisamente per
la testa la parola bluff. Tutto, per il secondo disco, dipende da quanto
durerà il dono del songwriting, credo. Molly's
Chambers forse è la versione che esce meglio; qualche sbavatura
con la voce, soprattutto nei pezzi nei quali gli intrecci tra lead e
backing vocal sono più complessi (Spiral Staircase,
Happy Alone).
La mia preferita, California Waiting, viene
un po' sciupata nel finale, appunto dalla voce di Caleb.
Il tutto dura 45 minuti.
Resta un po' di amaro in bocca, ma forse dobbiamo rivederli tra un paio
d'anni.
Il problema è che oggi, le band sono come i fiammiferi.
E si consumano in fretta.
di: Ale |