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Nick Cave & the Bad Seeds + Mercury Rev,
30/11/2004, Saschall, Firenze

 di Ale

La serata fiorentina è fredda, ma qualcosa mi dice che tra un po' dentro al Saschall farà molto caldo. Concerto esaurito da diversi giorni, blocchi ai cancelli come non se ne erano mai visti, per non creare affollamenti inutili : nonostante la capienza media (sulle 3000 unità) della bella e moderna struttura in riva all'Arno, segno di una evidente e diffusa popolarità dall'australiano che mai mi sarei aspettato che ne so, dieci anni fa, la prima volta che lo vidi dal vivo. La musica e i suoi ascoltatori non finiscono mai di stupire.

Stranamente per le abitudini fiorentine (ma al Saschall a dire il vero sono piuttosto puntuali), alle 19,50 i Mercury Rev iniziano a suonare (la cassa accrediti apre alle 20; quasi quasi mi incazzo), ma prontamente salta l'impianto. Riprendono una decina di minuti dopo, e suonano fino alle 20,30, una buona prestazione; non mi colpiscono più di tanto, li trovo molto leggeri, anche se "sinfonici"; mi vengono in mente i Queen meno potenti, fatte le dovute differenze, ma anche delle pessime cose anni '80. Gli darò senz'altro un'altra chance, magari stasera ero emozionato, come se dovessi rivedere un vecchio amico.

Alle 21 eccolo : preceduto da 11 elementi (3 coriste, un corista, e i Bad Seeds attuali, 2 batteristi, tastiere, violino, basso e due chitarre), ecco King Ink : è lui, nel suo splendido pallore, con la sua improbabile acconciatura; la sua inconfondibile figura allampanata riempirebbe il palco da sola, paradossalmente; questa sera, invece, per lunghi tratti avremo l'impressione netta che gli undici musicisti, pur tutti ottimi e impegnatissimi a fare la loro parte, si dispongano a semicerchio intorno a lui, in trepidante adorazione mistica.

Si comincia con "Abattoir blues", e sembra un messaggio, la summa del Cave-pensiero musicale : stile, ruvidezza rock, l'eleganza di uno chansonnier, una voce inenarrabile a parole. La prima ora del concerto è tutta appannaggio dell'ultimo doppio "Abattoir blues/the lyre of Orpheus"; perle già preziose come "Easy money", o arricchite dalla dimensione live, come "Supernaturally". Il coro fa rendere al 150% i pezzi già nati "gospel", la band funziona spaventosamente bene, Nick è in gran forma, detta i tempi, dirige l'orchestra, arringa la folla declamando le sue poesie grondanti di dolore, d'amore, di timore di Dio.

Con la cavalcata di "There she goes, my beautiful world" si chiude la prima parte del concerto, e molti sono già senza fiato. Poco male, assisteranno in apnea alla seconda. Interamente dedicata al repertorio l'ora seguente di concerto.

Difficile descrivere la grandiosità degli affreschi musicali che ci vengono concessi. "Red right hand", "Deanna", "Stagger Lee"; probabilmente, il picco del concerto è una superlativa, meravigliosa versione di "God is in the house", nonostante i soliti esibizionisti dell'ugola provino in tutte le maniere a rovinarla, facendo stizzire non poco Nick, che prima prova a zittire la platea con un solo dito, poi scimmiotta mentre canta l'urlatore che gli chiede "Hallelujah", il tutto, come sempre, con il suo personale, inimitabile stile.

Bisognerebbe farne statuette della figura di Nick Cave a gambe divaricate e leggermente piegate, un braccio alzato col microfono in mano, l'altro a scandire il tempo quasi come a spronare un cavallo immaginario, sul quale galoppa e domina la scena. Sicuramente, chi lo ha visto una volta non se lo scorda, anche senza statuetta.

"The mercy seat" placa la sete dei fans di vecchia data, e conclude il bis, che si era aperto con "The ship song" come se Nick ci invitasse a partire sul suo bastimento.

Si accendono le luci del Saschall, e intorno a me vedo solo facce soddisfatte; non riesco a vedere la mia, ma è sicuramente simile alle altre.

Questa sera sono un asina, e ho visto un angelo.

 

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11-12-04