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-Flippaut Festival, 2/06/2005, Bologna, Arena parco nord-

Live

Festa della Repubblica con un caldo bestiale, e gia’ ci si sente male a pensare al solleone del parco nord. Zone d’ombra allargate, e meno male, altrimenti ci scappava l’insolazione.
Cominciano i RumoreRosa, guidati ovviamente da una ragazza, Margherita (Margot); si faranno ricordare solo per la cover di Lamette di Rettore, e per la gonna rosa di Margot.

Giornata improntata all’Hard Rock e al Metal, e infatti i secondi sono i Gizmachi, emuli, senza maschere, degli Slipknot, che però arriveranno piu’ tardi. Per il pomeriggio ci si accontenta della fotocopia sbiadita.

The Ga*Ga*S sciorinano hard’n’roll misto a schitarrate semi-metal, roba che ci scivola addosso come l’acqua, ma non ci disseta.

I Marla Singer arrivano poco dopo, e sembrano i Subsonica nu metal. Non ci convincono.

Gli Shadows Fall attaccano frontalmente la platea, e picchiano sodo. Ci ricorderemo soprattutto pero’, del metro e mezzo di dreadlocks del cantante, che quando fa headbanging ricorda una piovra. Positivi anche se ovviamente originalita’ zero.

I Wednesday 13, dell’omonimo ex Murderdolls, disinvolti e truccati da zombies, ricordano i Motley Crue virati in chiave horror di serie B.

Gli Slipknot lamentano l’assenza del Clown, per gravi motivi familiari rientrato di corsa negli USA. Dal vivo, in un’arena, perdono in potenza di fuoco, nonostante il grande e numeroso dispiegamento ‘’da battaglia’’ sul palco. Corey Taylor ruffiano col pubblico, che coinvolge in discorsi semplicistici sulla ‘’famiglia’’, non risparmia le bestemmie. Poco elegante, ma cosi’ e’, se vi pare. Pensavo meglio.

Arrivano i Prodigy. E subito uno si chiede: perche’ oggi e non ieri, con Chemical Brothers e Moby? Misteri del Flippaut. Maxim, reintegrato per l’occasione, canta e sobilla, Keith gira a vuoto e sembra un metronotte al quale hanno rubato la macchina. I pezzi dell’ultimo disco confermano la loro pochezza anche dal vivo, nel confronto impietoso con i sempreverdi estratti da ‘’The Fat of the Land’’. Ma la platea balla.

Siamo al climax della serata. 15000, molti qui per loro, alla fine. Audioslave, come ripete, con la sua inconfondibile voce, Cornell, quasi a ribadire chi sono adesso. Il concerto dura un’ora e mezzo scarsa, con una pausa dopo un’oretta (che fa temere l’ennesima durata-burla alla, appunto, Audioslave). Qualche doveroso estratto dal nuovissimo ‘’Out of Exile’’, diversi invece dall’esordio omonimo, tre pezzi dei Soundgarden, tre pezzi dei Rage Against the Machine, un accenno di un pezzo dei Black Sabbath.

Dispiace, a chi scrive, a suo tempo devoto discepolo della dottrina del giardino del suono e del suo immenso cantore, ammettere che Cornell ha sempre un gran fascino come uomo (anche se assomiglia sempre di piu’ a Luca Bizzarri di Luca&Paolo) e sui toni bassi, ma non e’ piu’ il Robert Plant della nostra generazione. I primi sei pezzi si passano a sperare che sia il microfono che ha un problema, ben sapendo invece, che il microfono non ha un bel niente: e’ l’ex capellone che ‘’non ci arriva’’ piu’. Be Yourself e’ il primo pezzo che il cantante azzecca per intero; ma e’ uno specchietto per le allodole. Riascoltate quel pezzo anche su cd: e’ un pezzo che Chris canta a filo di gas. La medley tra Bulls on Parade e Sleep Now in the Fire fa quasi tenerezza: Bulls e’ strumentale, e su Sleep Now si ha nostalgia perfino della pronuncia dura, da immigrato, sul nome delle tre famosissime caravelle che ognuno di noi ha studiato a scuola. Spoonman e’ decente, ma non ha senso senza Cameron, anche se Wilk e’ un onestissimo gregario, con Commerford (qualcuno ha notato che si sta allargando con i cori?), Black Hole Sun e’ inutile fatta chitarra e voce (anche se prima di averla sentita non lo avrei detto), e soprattutto Outshined (doveroso l’inchino religioso) e’ una canzone quasi normale, senza prodigiosi acuti. E che dire di Killing in the Name cantata come se fosse una semplice canzone e non uno slogan?

Lo so, sembra un bollettino di guerra; ma non si puo’ prescindere da tutto quello che questi quattro musicisti hanno fatto in passato, io credo. Chi giudica il nuovo ‘’Out of Exile’’ un buon disco, mi si perdoni, fa un po’ come i fidanzati che si accontentano del fidanzamento abitudinario e stanco. Cornell, Morello, Wilk e Commerford che fanno Adult Orientated Rock (chi si ricorda gli House of Lords?)? Accomodatevi.

L’assurdita’ e’ che Morello, il Santana comunista dei nostri tempi, ha, con questo ‘’schema’’, la possibilita’ di dare sfogo, oltre che alla sua geniale tecnica chitarristica, anche al suo gusto sopraffino in fatto di assoli (sulle ritmiche, quando non sono geniali come capita, lo stile Audioslave invece, soprattutto live, fa calare la tensione, nonostante gli sforzi del nerboruto Tim). Come dire, speriamo che arrivi presto l’assolo che ne ho piene le tasche di stecche!

Il pubblico, comunque, gradisce; e’ bene dirlo, piu’ l’amarcord RATM che quello Soundgarden. Ma, come credo sia giusto, dai maestri e’ bene pretendere il massimo.

Se la scelta e’ quella di rifarsi dei milioni di copie non vendute nel passato (ma come quantificarle, poi?), ne prendiamo atto. La magica voce di Christopher Cornell, pero’, e’ tramontata. Rimane alto il sole di Tom Morello.

di: Ale