Live |
Festa della Repubblica con un caldo bestiale, e gia’ ci si sente
male a pensare al solleone del parco nord. Zone d’ombra
allargate, e meno male, altrimenti ci scappava l’insolazione.
Cominciano i RumoreRosa, guidati ovviamente da una
ragazza, Margherita (Margot); si faranno ricordare solo per la
cover di Lamette di Rettore, e per la gonna rosa di
Margot.
Giornata improntata all’Hard Rock e al Metal, e infatti i
secondi sono i Gizmachi, emuli, senza maschere, degli
Slipknot, che però arriveranno piu’ tardi. Per il pomeriggio ci
si accontenta della fotocopia sbiadita.
The Ga*Ga*S sciorinano hard’n’roll misto a schitarrate
semi-metal, roba che ci scivola addosso come l’acqua, ma non ci
disseta.
I Marla Singer arrivano poco dopo, e sembrano i Subsonica
nu metal. Non ci convincono.
Gli Shadows Fall attaccano frontalmente la platea, e
picchiano sodo. Ci ricorderemo soprattutto pero’, del metro e
mezzo di dreadlocks del cantante, che quando fa headbanging
ricorda una piovra. Positivi anche se ovviamente originalita’
zero.
I Wednesday 13, dell’omonimo ex Murderdolls, disinvolti e
truccati da zombies, ricordano i Motley Crue virati in chiave
horror di serie B.
Gli Slipknot lamentano l’assenza del Clown, per gravi
motivi familiari rientrato di corsa negli USA. Dal vivo, in
un’arena, perdono in potenza di fuoco, nonostante il grande e
numeroso dispiegamento ‘’da battaglia’’ sul palco. Corey Taylor
ruffiano col pubblico, che coinvolge in discorsi semplicistici
sulla ‘’famiglia’’, non risparmia le bestemmie. Poco elegante,
ma cosi’ e’, se vi pare. Pensavo meglio.
Arrivano i Prodigy. E subito uno si chiede: perche’ oggi
e non ieri, con Chemical Brothers e Moby? Misteri del Flippaut.
Maxim, reintegrato per l’occasione, canta e sobilla, Keith gira
a vuoto e sembra un metronotte al quale hanno rubato la
macchina. I pezzi dell’ultimo disco confermano la loro pochezza
anche dal vivo, nel confronto impietoso con i sempreverdi
estratti da ‘’The Fat of the Land’’. Ma la platea balla.
Siamo al climax della serata. 15000, molti qui per loro, alla
fine. Audioslave, come ripete, con la sua inconfondibile
voce, Cornell, quasi a ribadire chi sono adesso. Il concerto
dura un’ora e mezzo scarsa, con una pausa dopo un’oretta (che fa
temere l’ennesima durata-burla alla, appunto, Audioslave).
Qualche doveroso estratto dal nuovissimo ‘’Out of Exile’’,
diversi invece dall’esordio omonimo, tre pezzi dei Soundgarden,
tre pezzi dei Rage Against the Machine, un accenno di un pezzo
dei Black Sabbath.
Dispiace, a chi scrive, a suo tempo devoto discepolo della
dottrina del giardino del suono e del suo immenso cantore,
ammettere che Cornell ha sempre un gran fascino come uomo (anche
se assomiglia sempre di piu’ a Luca Bizzarri di Luca&Paolo) e
sui toni bassi, ma non e’ piu’ il Robert Plant della nostra
generazione. I primi sei pezzi si passano a sperare che sia il
microfono che ha un problema, ben sapendo invece, che il
microfono non ha un bel niente: e’ l’ex capellone che ‘’non ci
arriva’’ piu’. Be Yourself e’ il primo pezzo che il
cantante azzecca per intero; ma e’ uno specchietto per le
allodole. Riascoltate quel pezzo anche su cd: e’ un pezzo che
Chris canta a filo di gas. La medley tra Bulls on Parade
e Sleep Now in the Fire fa quasi tenerezza: Bulls
e’ strumentale, e su Sleep Now si ha nostalgia perfino
della pronuncia dura, da immigrato, sul nome delle tre
famosissime caravelle che ognuno di noi ha studiato a scuola.
Spoonman e’ decente, ma non ha senso senza Cameron, anche se
Wilk e’ un onestissimo gregario, con Commerford (qualcuno ha
notato che si sta allargando con i cori?), Black Hole Sun
e’ inutile fatta chitarra e voce (anche se prima di averla
sentita non lo avrei detto), e soprattutto Outshined
(doveroso l’inchino religioso) e’ una canzone quasi normale,
senza prodigiosi acuti. E che dire di Killing in the Name
cantata come se fosse una semplice canzone e non uno slogan?
Lo so, sembra un bollettino di guerra; ma non si puo’
prescindere da tutto quello che questi quattro musicisti hanno
fatto in passato, io credo. Chi giudica il nuovo ‘’Out of Exile’’
un buon disco, mi si perdoni, fa un po’ come i fidanzati che si
accontentano del fidanzamento abitudinario e stanco. Cornell,
Morello, Wilk e Commerford che fanno Adult Orientated Rock (chi
si ricorda gli House of Lords?)? Accomodatevi.
L’assurdita’ e’ che Morello, il Santana comunista dei nostri
tempi, ha, con questo ‘’schema’’, la possibilita’ di dare sfogo,
oltre che alla sua geniale tecnica chitarristica, anche al suo
gusto sopraffino in fatto di assoli (sulle ritmiche, quando non
sono geniali come capita, lo stile Audioslave invece,
soprattutto live, fa calare la tensione, nonostante gli sforzi
del nerboruto Tim). Come dire, speriamo che arrivi presto
l’assolo che ne ho piene le tasche di stecche!
Il pubblico, comunque, gradisce; e’ bene dirlo, piu’ l’amarcord
RATM che quello Soundgarden. Ma, come credo sia giusto, dai
maestri e’ bene pretendere il massimo.
Se la scelta e’ quella di rifarsi dei milioni di copie non
vendute nel passato (ma come quantificarle, poi?), ne prendiamo
atto. La magica voce di Christopher Cornell, pero’, e’
tramontata. Rimane alto il sole di Tom Morello.
di:
Ale |