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Corea, Tae-Suk è un giovane, appassionato di golf (il ferro 3 è
un tipo di mazza, particolarmente pesante), apparentemente
disoccupato, che gira su una moto appiccicando flyers di un take
away alle maniglie delle porte; non sembra il suo lavoro, bensì
uno stratagemma per capire quali case siano momentaneamente
vuote, famiglie in vacanza o single in viaggio di lavoro.
Individuate le case vuote, vi si introduce, ma non per rubare,
anzi; abita le case, le fa vivere, cucina, fa il bucato
(rigorosamente a mano), annaffia le piante, ripara gli
apparecchi rotti (orologi, bilance, impianti stereo), e poi se
ne va silenzioso come è arrivato.
Durante una di queste ”visite”, lo sorprende Sun-Hwa, moglie
vessata dal marito manesco, silenziosa come lui; fra i due nasce
un legame, dapprima strano, poi sempre più forte. Al rientro del
marito, Tae impedisce che la picchi di nuovo, dandogli una
lezione a colpi di palline da golf, e dopo se ne vanno insieme :
l’introduzione nelle case vuote diventa vita di coppia.
I due vengono sorpresi in casa da un pugile, che picchia Tae (il
volto segnato diventa adesso il suo, mentre i segni causati dal
marito scompaiono sul volto di Sun); immediatamente dopo, la
passione per il golf di Tae causa un gravissimo incidente; ci
piace pensare che, dopo aver visto la giovane, col volto
divenuto una maschera di sangue a causa sua, il rapporto tra lui
e Sun diventa anche fisico (fino ad allora gli approcci erano
stati piuttosto timidi).
La
coppia è poi incarcerata; li sorprendono in una casa modesta,
dove trovano un morto (e gli danno una degna sepoltura, “come a
un padre”, dice uno dei poliziotti quando lo scopre), quindi
vengono accusati anche di omicidio. Sun è liberata e ripresa dal
marito, Tae passa un periodo in carcere (dopo aver subito la
vendetta del marito, che corrompe l’ispettore per poterla
avere), durante il quale sembra palesarsi una trasformazione.
L’epilogo lascia spazio a diverse interpretazioni : Tae torna da
Sun e la ama, riamato, letteralmente alle spalle del marito
ignaro.
Si potrebbe pensare che Kim Ki Duk sia più furbo che ispirato;
il risultato però, non cambierebbe. Stavolta si cala in un
paesaggio urbano, anonimo, assolutamente non suggestivo, si
concede solo alcune inquadrature particolari (ricordiamo
l’anteriore dell’auto dopo che il marito di Sun si vendica di
Tae prendendolo a pallinate) concedendo poco allo stile,
ricordando un po’ la filmografia francese, ma costruisce un film
che ispira riflessioni a catena.
E’ uno di quei film che andrebbero visti da soli, sprofondando
nella poltrona alla stessa maniera nella quale dovremmo
sprofondare nel confronto serrato con noi stessi, rifuggendo le
inevitabili ironie che possono nascere davanti alle situazioni
indubbiamente grottesche della storia.
Tenete conto che il protagonista non dice una parola che sia
una, e la co-protagonista dice due battute nell’ultima scena
(“ti amo” e “la colazione è pronta”); eppure questo film ci
parla.
Tae è un rivoluzionario moderno, che occupa gli spazi vuoti
creati dal capitalismo, li riempie, apporta migliorie, usa la
dolcezza con chi la merita e la durezza con i prepotenti; alla
fine, complice Sun che lo comprende nella sua incomunicabilità,
inventa un nuovo modo di amare, usando lo stesso metodo che
usava con le case, lasciandoci con questa metafora, diventando
un’entità sovrannaturale.
La
scena di Sun che entra nella casa dove insieme a Tae avevano
preso il the, per riposarsi finalmente sul divano, senza dire
una parola ai padroni ma indisturbata da essi, ringraziandoli
con un inchino alla fine, è pura poesia.
Come un musicista che cambia spesso genere, e cerca vie sempre
meno immediate e “commerciali”, Kim Ki Duk coglie nel segno
anche questa volta.
Profondo.
di:
Ale
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