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Titta Di
Girolamo è un tipo serio, taciturno, sembra un aristocratico
d'altri tempi. Vive da 10 anni in Svizzera, dove una o due volte
alla settimana una misteriosa signora gli porta una valigia
piena di soldi, che lui trasferisce in banca, esigendo che
vengano contati a mano dagli impiegati e non dalle macchinette
contasoldi; ha un fratello che è il suo esatto contrario e una
famiglia con la quale interagisce per telefono, ma che in
pratica lo ha disconosciuto; si fa di eroina da oltre 20 anni,
una volta alla settimana, sempre lo stesso giorno (il mercoledì)
alla stessa ora (le 10 di mattina); una volta l'anno, si fa il
ricambio completo del sangue. Improvvisamente, decide di fare
"la cosa più pericolosa di tutta la sua vita", e si innamora
perdutamente della cameriera del bar dell'albergo dove vive.
Paolo
Sorrentino, dopo l'esordio intrigante del 2001 con "L'uomo in
più", torna e ci spiazza con un film assolutamente inusuale e
rischioso. Spietato con la mafia (che sembra in secondo piano,
ma non lo è), il regista ci affascina fin dalla sequenza di
apertura (già da sola vale il prezzo del biglietto), poi dipinge
il personaggio principale (Toni Servillo, ormai il suo
attore-feticcio, perfetto ad esprimersi col corpo e soprattutto
con la faccia, praticamente impeccabile in questo film) che si
esprime principalmente con la voce fuori campo (aborrita dai
puristi), e con brevi e laconiche frasi ("sei contento di
vedermi?" domanda il fratello "quando riparti?" risponde lui)
che fanno sembrare le sequenze una serie di scene madri.
Detto anche
della debuttante Olivia Magnani, la cameriera, due occhi
indimenticabili (anche se voce e dizione lasciano a desiderare,
forse una delle poche note stonate del film, a voler fare i
pignoli), come non menzionare la colonna sonora (Lali Puna,
Mogwai, Ornella Vanoni : semplicemente geniale!) e la tecnica
del regista (due scene da segnalare su tutte, insieme alla già
citata sequenza d'apertura : il buco col quale il protagonista
fa il suo unico "strappo alla regola", con la macchina che
lambisce l'intera figura di Titta, arrestandosi sul suo primo
piano a testa in giù, e il piano sequenza col quale Titta viene
accompagnato davanti al Boss quasi nel finale).
Il film è
costruito su una serie innumerevole di scene, con una prima
parte che è, incredibile a dirsi, fortemente asettica e
distaccata con frequenti momenti di ilarità sarcastica; tutto
questo contribuisce a dare l'idea di come si senta dentro il
protagonista, svuotato da qualsiasi tipo di emozione. Si crea
così anche nello spettatore una sorta di anestesia, la quale
rende quasi insensibili davanti al sacrificio finale, dopo che
il protagonista abbandona frettolosamente la speranza (troppo
grande lo sbalzo tra l'assenza di sentimenti e l'arrivo
improvviso del sentimento per eccellenza).
Quando però
l'anestesia termina, il sacrificio di Titta ci insegue ben oltre
l'uscita dal cinema, invitandoci a riflettere su quanto
devastanti possano essere, appunto, le conseguenze dell'amore.
di:
Ale
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