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In
un futuro immediato, globalizzazione ed effetto serra portano
alla creazione di due “caste” : quelli con la copertura assicurativa
che vivono agiatamente, nelle grandi metropoli, inquadrati e
sorvegliati, e quelli senza, che vivono “fuera” di espedienti,
sotto il sole che ormai è dannosissimo.
Il codice 46 vieta l’accoppiamento tra persone che abbiano almeno
il 25% di DNA uguale.
Winterbottom si cimenta con un genere ulteriormente diverso
da quelli che ha finora sviscerato, e non se la cava per niente
male. Sospeso tra “Blade runner” (alla rovescia; notate la scena
nella quale i due protagonisti rincasano all’alba e si proteggono
dal sole come normalmente ci si proteggerebbe dalla pioggia)
e “Strange days” (con molta meno adrenalina), il film ha un
buon intreccio, pur mancando di quel nichilismo che tanto giova
ai cult-movie, ed è pregno di simbolismi e metafore,
che atterriscono se ci fermiamo a riflettere sulla eventuale
deriva che ci potrebbe portare nella direzione paventata dalla
storia di WInterbottom.
Altre ragioni per vedere questo film, Mick Jones che canta “should
I stay or should I go” in un locale di Shangai e la scena finale
sulle note struggenti di “Warning sign” dei Coldplay.
Nonostante la Morton e Robbins siano ottimi attori, rimane il
dubbio che, con altri due protagonisti più “carismatici”,
il risultato potesse raggiungere, appunto, lo stato di cult.
Anche se, in effetti, è lo stesso regista che pare alzare
il piede e premere un po’ troppo sul sentimentale.
Interessante comunque.
di:
Ale
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