Live |
Ultima
data italiana, per questa volta, di Damien Rice, spinto stavolta
dal successo di "O" e dall'airplay radiofonico di
"Cannonball".
Saschall "limitato" (posti a sedere in platea, galleria
chiusa) per mantenere l'intimità dell'evento (doveva
essere, in un primo momento, alla più piccola Sala Vanni),
e anche se si mormora di persone che sono rimaste fuori, alla
fine non si arriva alle 1000 unità. Poco dopo le 20,30
apre tale Terry Sotton da Dublino, chitarra e bella voce, 4
pezzi, 2 dei quali niente di nuovo ma molto belli.
Un altro cantastorie, graditissimo.
Il fantasma di Nick Drake aleggia su tutta la serata, e non
solo perchè tra una esibizione e l'altra si sentono le
sue canzoni.
Dopo 5 minuti arriva Josh Ritter, dall'Ohio ma con una permanenza
in Irlanda alle spalle; il bel ragazzo americano, che ricorda
un po' il Dawson di Dawson's Creek, suona 45 minuti, sempre
chitarra e voce, e fonde country americano, spleen irlandese,
amore per il romanticismo; i pezzi non sono sdolcinati, e lui,
nonostante un'apparente timidezza, interagisce alla grande con
il pubblico, favorito anche da una buona fetta anglofona.
E' simpatico, ha buone canzoni, canta anche Cohen, parafrasa
i Beatles stornellando contro Bush, si scusa per lui e per Schwarzenegger,
chiude con un pezzo dedicato a Johnny Cash allontanandosi del
microfono e staccando la spina alla chitarra, avvicinandosi
al bordo del palco perchè tutti riescano a sentire anche
senza amplificazione, va via tra gli applausi visibilmente emozionato.
Poco dopo le 22, il piccolo fenomeno irlandese arriva sul palco
(con una t-shirt dei Kings of Leon, per la cronaca spicciola)
e da il via a quasi 2 ore emozionanti di musica che viene dal
cuore, dove si rispecchiano non solo la sua sensibilità
e Nick Drake, ma anche Hendrix, Pink Floyd, Radiohead, il reggae,
la musica da camera.
Il tutto senza perdere di coerenza, e riuscendo a toccare gli
animi dei presenti.
Lui suona la chitarra e canta, la vocalist non c'è, non
sta bene, la violoncellista fa il suo nella sua impacciata e
algida bellezza, il bassista è sornione e lineare, il
batterista, estrazione jazz, fonde delicatezza e potenza quando
occorre.
Apre "delicate" e subito apprezziamo l'arrangiamento
"da falò" della prima strofa, che contrasta
con l'entrata degli strumenti subito dopo; segue la prima ghost
track dell'album (credo il titolo sia "red toppin'"),
e a ruota "woman like a man", una b-side molto rock,
con la quale si capisce che non ci annoieremo, e che il ragazzo
sa anche sfoderare la grinta. "Older chests" ci parla
dolcemente dell'infanzia, e ci porta dritti verso "I remember",
che Damien canta non prima di essersi scusato per l'assenza
della ragazza e annunciando che ci proverà lo stesso
(la prima parte del pezzo è cantanta, sul cd, tutta da
lei, ma il biondino se la cava egregiamente).
Ci spiega che con questo pezzo ha provato a raccontare le dinamiche
e l'evoluzione del rapporto di coppia. In effetti il pezzo è
sentito particolarmente, e lascia il segno.
Segue "Amie", bellissima, poi arriva "eskimo",
e la cosa si fa psichedelica, con, addirittura, echi di King
Crimson.
Sul finale tracce di cantato in russo. Che sia comunista? 3
pezzi sconosciuti, nuovi, che lasciano un'impronta marcatamente
rock nella delicatezza di Rice, ci portano al pezzo che ormai
tutti conoscono, "cannonball", che pare quasi eseguito
controvoglia da quanto è famoso. L'ultimo pezzo prima
del bis è la meravigliosa "the blower's daughter",
la mia personale preferita, laddove, sul ritornello, l'angolo
dell'occhio sinistro si inumidisce; Rice la dilata e la trasforma
in una splendida versione di "creep" dei Radiohead,
e la pelle diventa d'oca. Un attimo di pausa, poi rientra la
viloncellista che invoca il batterista, senza risultato. Allora
lei attacca "7 nation army" dei White Stripes violoncello
e voce; viene in uo soccorso il bassista con la grancassa della
batteria.
Ormai è l'apoteosi, e tutti sono sotto al palco, la band
rientra per una versione interminabile di "volcano"
(almeno 15 minuti), dove il pezzo diventa reggae, poi una balalaika,
poi torna reggae e Damien ci canta sopra improvvisando, la sua
avventura italiana vicino a Firenze.
Futuro assicurato per il biondino, gran concerto, tutti soddisfatti.
Abbandono la compagnia fiorentina con la quale avevo assistito
al concerto perchè si è fatto tardi. Mentre mangio
qualcosa dopo un'ora circa, vengo avvertito che, dopo un mini-set
acustico "privato" di Damien (con "Hallelujah"
di Cohen), sono tutti a bere in un locale (Ritter e Sotton compresi).
Cavolo, se fossi rimasto avrei potuto verificare se la violoncellista
era di legno come sembrava! Sarà per la prossima volta.
PS
grazie a Iacopo, Mau, Laura e gli altri per le scalette e la
compagnia
di:
Ale |